Reggio Emilia, 6 dicembre 2013
La cittadinanza affettiva mi onora e mi emoziona, non so bene perché ma è così.
Mi è stato chiesto non un semplice saluto, ma qualche riflessione, spero non ve ne dobbiate pentire.
Le città sono le più grandi invenzioni dell’umanità. Le città cambiano assieme alle persone che le abitano, cambiano con il mutare dei bisogni, degli stili di vita, della cultura e della scala di valori.
Alcuni segni recenti di questi cambiamenti per Reggio sono la stazione Medipadana, i ponti, il Tecnopolo e il Centro internazionale Loris Malaguzzi. La forte immigrazione recente ha fatto il resto.
Le città senza la loro parte storica, senza i luoghi di rappresentanza civile, religiosa ed economica, senza la loro forza identitaria, rischiano di tradursi in un insieme di case.
Ma le città sono molto più di questo sono la loro proiezione territoriale, le trame di una storia più ampia di luoghi e personaggi.
Che bello vivere in un contesto dove in meno di 100 chilometri passiamo dalla bassa pianura all’Appennino. Dalle terre dei Gonzaga al Po, dalle opere di bonifica ai borghi matildici, alla Pietra di Bismantova e su fino al Cusna: dal siluro alla trota, dall’airone all’aquila e al lupo.
Che bello vivere in un posto dove vedi delle acque chiare, i monti innevati e da lusso, in certe giornate, senti l’odore del mare.
Poi ci sono gli uomini e le donne, quel modo di vivere con tempi dilatati, quel cibo, quel bel dialetto che ho sentito in casa sino a quando erano in vita i miei genitori. All’età di 3 anni, da Castagneto la mia famiglia si è trasferita in pianura sulla spinta dei miei fratelli più grandi, irrequieti, attratti dalle luci di pianura, da stipendi sicuri, da un futuro promettente, anche se non è mai come te lo immagini.
Cinque o sei anni fa ho trovato casualmente proprio a Castagneto una seconda mamma. Bruna. Una ragazza che a circa vent’anni mi tenne a battesimo e che mi ha cercato per decenni, ritrovandomi per caso. Giovanissima era emigrata in Svizzera, lì si è sposata ed ha messo su famiglia. Lei e Jean Pierre, il marito, tornano a Castagneto più volte all’anno e quando vado a trovarli ci si mette attorno al tavolo ed io ritrovo proprio una bella sensazione di equilibrio, benessere. Jean Pierre mi ricorda che la Svizzera è bella, ma con valli un po’ chiuse e a tratti ripetitive, mentre il nostro Appennino apre grandi orizzonti, ad ogni curva c’è un orizzonte nuovo, sorprendente come lo sono i colori dell’autunno.
Poi gli uomini, dicevamo. Braccia instancabili. Gente intelligente, responsabile. Ne ho conosciuti molti di montanari lavorando all’Enel per oltre 15 anni.
Una parte rilevante della classe dirigente provinciale e che si è fatta valere nel mondo viene da lì.
Si sono distinti nell’arte, nell’economia , nelle professioni e nella politica. Nel mondo della sinistra, che conosco meglio, ricordo Bernardi, Bertolini, Giovanelli e Masini per citarne alcuni. Nel campo della sinistra c’erano nei decenni scorsi diverse “aree di riferimento”, rappresentate da figure come Antonella Spaggiari, Elena Montecchi, Pierluigi Castagnetti, Fausto Giovanelli.
Fausto lo sa, non sono mai stato un ‘Giovanelliano’, ma una cosa la voglio dire, non perché sia di fianco a me, ma perché l’ho sempre pensato. Giovanelli ha lasciato un segno profondo nella storia politica e nella cultura del centro-sinistra, quindi nel Paese.
Con i suoi libri, i convegni, le iniziative, le leggi, le relazioni ha contribuito a togliere l’ambientalismo italiano da una radicalità, da un ruolo di testimonianza incapace di incidere davvero sui processi reali, per consegnarlo alla cultura riformista, ponendolo al centro delle politiche di centro-sinistra e non solo.
Poi è arrivato il Parco, che forse non ci sarebbe stato, con i suoi contenuti, senza l’impegno e la tenacia di Giovanelli e del gruppo dirigente che lo affiancava, i quali possono testimoniare di aver fatto decine di assemblee difficili.
Dunque noi reggiani, noi emiliani, noi italiani, abbiamo ricevuto molto di più di quello che abbiamo dato alla Montagna.
Il nostro Appennino è un patrimonio della città e dell’umanità, come direbbe l’Unesco.
L’ente parco non mancherà di affiancare un percorso che riposizioni la nostra Montagna al posto giusto, che per me come per tutti voi è certo il luogo della memoria, delle radici, ma è soprattutto il luogo di una certa modernità del vivere, un posto vitale, così fragile e potente allo stesso tempo, senza il quale ci sentiremmo tutti un po’ più poveri.
Viva il Parco nel mondo interiore, ma soprattutto in quello reale.
Ugo Ferrari
Sindaco Vicario di Reggio Emilia